Se l’articolo pubblicato sulla rivista Rollingstone vi sembra allarmante non è che la punta dell’iceberg in tema ambientale, l’immondizia a Bali è un problema serio.
La bibliografia riguardante l’uso non consapevole della plastica a Bali è corposa; il New York times nel 2009 pubblica una denuncia nei confronti di gestione dei rifiuti in base alla crescita del turismo.
Già nel 2000 nasce Bali Fokus un’organizzazione no profit che tratta il tema del riciclo ambientale per sensibilizzare la popolazione.
Nel 2017 l’Indonesia come altri paesi ha aderito al programma ambientale dell’Onu, #CleanSeas, per la pulizia e sensibilizzazione globale contro i rifiuti marini. L’obiettivo è quello di eliminare entro il 2022 le principali fonti di inquinamento marino, dalle microplastiche all’eccessivo uso di oggetti di plastica usa e getta, come buste e bottiglie.
L’Indonesia ha promesso inoltre di ridurre la spazzatura marina del 70% entro il 2025, ma cosa davvero manca, a mio giudizio, è una politica “verso” l’ambiente, cultura e informazione tra i balinesi.
L’indignazione dell’autore dell’articolo sopracitato è solo una voce che si unisce al coro di chi cerca di sollevare la questione dell’inquinamento dell’isola degli dei.
E’ vero che l’uso di plastiche non riciclabili rendono le spiagge in bassa stagione impraticabili rovinando il panorama idilliaco ai turisti, ma vogliamo parlare del “traffico da metropoli” maleodorante che congestiona le strade non adatte ad accogliere un tale flusso veicolare? Se bisogna trovare un capro espiatorio di certo non mi sento di puntare il dito solo verso i balinesi.
L’avidità da parte di colonizzatori e colonizzati ha portato a scempi in campo edilizio, malsana gestione dei territori, tonnellate di immondizia riversate in mare, cielo e terra, sfruttamento delle risorse ecc. ecc., tutto sotto il beneplacito di governanti, imprenditori e gente locale.
Il turismo di massa accresce sempre di più insieme al volume di spazzatura e l’Agenzia dei Parchi e dell’Igiene di Denpasar non riesce a raccogliere tutta l’immondizia prodotta nei vari distretti di Bali con i pochi mezzi e i pochi soldi a disposizione.
I driver non vi porteranno mai nella landa dimenticata di Suwung in cui regnano montagne di immondizia dove si nutrono le mucche da latte e povera gente in cerca di cibo.
Un timido segnale di miglioramento sono le realtà di villaggio che, aiutate da fondazioni cercano di auto gestirsi nella gestione dei rifiuti attraverso il meccanismo della raccolta differenziata, educazione nelle scuole e informazione tra la gente. Il fenomeno virtuoso è a macchia di leopardo e non è sufficiente a coprire l’odore di migliaia di roghi che la sera si accendono per bruciare tonnellate di immondizia.
Di certo non andare a Bali per non inquinarla non è una soluzione ma in primis gli albergatori e ristoratori sono coloro che dovrebbero diminuire sensibilmente la plastica nel servizio turistico e ovviamente la politica dovrebbe far in modo di educare al meglio le nuove generazioni all’amore verso la loro terra.
Visto che tornare ad usare foglie di banano come piatti e bicicletta come unico mezzo di trasporto è impossibile, mi piace pensare che responsabilità, rispetto, educazione e sensibilizzazione da parte di tutti possano apportare il vero cambiamento.
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